Regola#125nonpuoipretenderecheglialtritiaminocomeliamitu

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…uno in frigo, uno nella lavastoviglie, uno in lavatrice, nel cestello – ma poi ho pensato che forse non se ne sarebbe accorto – e allora l’ho piegato e l’ho messo nel cassetto, tra lo spazio per il detersivo e quello per l’ammorbidente. Ne ho messo uno dentro il suo cassetto delle mutande…

NON PUOI PRETENDERE HE GLI ALTRI TI AMINO COME LI AMI TU

14 Luglio 2011.

Ho preso qualche foglio bianco. Sul primo, ho scritto “ti amo” in grande, al centro, con un pennarello nero. Poi ho pensato che il nero porta male, ho buttato via quel foglio e ne ho scritto un altro, usando un pennarello rosso, stavolta.
Però il rosso mi ricorda il sangue, e allora ho buttato via quel foglio e ne ho scritto un altro, usando il pennarello nero ma disegnando un enorme cuore fucsia ad incorniciare la scritta.

Ecco, così mi piace.
Ne ho fatti 10.
Che ho distribuito così: uno in frigo, uno nella lavastoviglie, uno in lavatrice, nel cestello – ma poi ho pensato che forse non se ne sarebbe accorto – e allora l’ho piegato e l’ho messo nel cassetto, tra lo spazio per il detersivo e quello per l’ammorbidente.
Ne ho messo uno dentro il suo cassetto delle mutande, e uno in bagno, nel ripiano della carta igienica. Potrei scrivere ti amo anche sulla carta igienica? No. Lì forse è meglio di no.
Uno davanti alla tv, uno in freezer, uno arrotolato e attaccato alla lattina di birra.
Uno dentro al sacchetto delle patatine – che ho aperto apposta e sono finita col mangiarne metà.
E l’ultimo sotto al suo cuscino.

Poi sono partita per la mia prima tournée.
Beh, tournée…in realtà stavo andando in Piemonte, a Vignale Monferrato per la precisione, per presentare e condurre uno spettacolo bellissimo interpretato dalla Compagnia PadovaDanza all’interno del Festival Vignale Danza.
Piemonte – Festival – Danza – PadovaDanza – Gabriella Furlan Malvezzi – Chiara Luppi – Vittorio Matteucci.
Il mio nome sulla locandina.
Tutti dettagli che mi autorizzavano a sentirmi in tournée.

Tuttavia, era la prima volta che lasciavo casa nostra da quando eravamo andati a convivere, ed era la prima volta che dormivamo separati da 10 mesi.
Sarei stata via per ben una notte, quindi era normale che volessi lasciare qualcosa di me, e del mio amore per lui, disseminato per casa.
Era normale PER ME, perché questo è – o meglio, era – il MIO modo di amare.
Perché io sono fatta così: sono una romantica, sono una sognatrice, sono una scrittrice. Ergo, quando provo qualcosa lo devo dire, altrimenti sto male somatizzo e mi vengono herpes labiale e colite acuta contemporaneamente.

Ma le persone sono tutte diverse, grazie al cielo, e pensano e si comportano e si relazionano in modo diverso.
E soprattutto amano, in modi diversi.

Tant’è che il mio ex – perché questo divenne dopo qualche mese – trovò soltanto alcuni dei cartelli (quelli nella lavastoviglie, nella lavatrice e sotto il cuscino rimasero tristemente al loro posto. Così anche come quello nel cassetto delle mutande, ahimé…). La mia ricompensa? Un “grazie dei cartelli…” via sms, che a posteriori secondo me voleva dire: oddio sto con una  stalker psicolabile.

Meno di due mesi dopo, toccò a lui assentarsi da casa per una tournée. Stava andando in Germania, a Monaco di Baviera per la precisione, per partecipare al Festival della bionda, alias, tre giorni all’Oktober Fest.

 Valigia pronta vicino alla porta. Lui tutto felice che aspetta lo vengano a prendere. Io che non vedo l’ora vada via per iniziare a cercare i cartelli che di sicuro mi ha nascosto in giro per casa.
Di sicuro.
Dopotutto, se l’ho fatto io meno di 8 settimane prima, lui non può non fare lo stesso, se non di più, visto che starà via per il 300% in più di quando non sia stata via io.
Suonano al campanello.
Fa per uscire, ma gli chiedo almeno un bacio, sicché torna verso di me, mi bacia sulla fronte e se ne va.

Inizio ad aprire tutte le ante di casa, a cercare fra i miei vestiti, i libri, i cd.
Niente.
Controllo tutte le pentole in cucina.
Niente.
Passo una ad una le mie scarpe.
Niente.
Controllo dove tengo l’asciugacapelli e la crema per il corpo.
Niente.
Lascio l’ultima speranza al letto. Sotto il cuscino, sotto la coperta, persino in fondo dove tocco con i piedi quando dormo.
Nada de nada.

Sento la delusione battermi nelle tempie anche adesso, solo ricordando quel momento.
Eppure quella delusione è stata solo colpa mia.
Ho lasciato quel ragazzo accusandolo, prima di tutto, di non amarmi abbastanza perché non lo sapeva dimostrare, ma è una bugia.

In realtà, quello che mi feriva di più era la sua incapacità di amarmi come lo amavo io, e la mia incapacità di non saperlo accettare nel suo modo di starmi accanto.

Ognuno di noi è un piccolo grande microcosmo di unicità.

Ognuno di noi ha il suo modo di alzarsi e bere il caffè e tenere una matita in mano e camminare e ballare e fischiettare e sorridere e reagire ai sorrisi e piangere e reagire – o non reagire – ai pianti e stringere una mano e dare un bacio e prendere un abbraccio e gestire – o non saper gestire – le emozioni.

Ognuno di noi ha il suo modo di amare.
E pretendere che gli altri ci amino come li amiamo noi, è il modo più sbagliato di relazionarsi, perché toglie alle persone la libertà di essere quello che sono.

E toglie a te la libertà di essere quello che sei felice di esserlo.

Mentre scrivevo quei cartelli, il 14 luglio di 4 anni fa, ero talmente piena di gioia da scoppiare. Mi sentivo innamorata più che mai, ma la spinta era sbagliata, perché tutta quella gioia mi veniva dalla reazione che mi aspettavo dal mio ex.
E dopo quella delusione, e la fine di quella storia, ho iniziato a comportarmi nella maniera opposta, reprimendo qualsiasi slancio verso chiunque perché temevo di essere troppo. Troppo tutto.
Sbagliavo anche lì.
L’equilibrio sta nel lasciar fluire la nostra natura liberamente, e nel mio caso si tratta di accompagnare le emozioni ai gesti e alle parole: se amo devo dirlo, perché io sono così.

Ma ho imparato a godere anche dell’affetto di chi non sa dirlo o usa altre parole rispetto alle mie.
Ho imparato a coltivare anche quelle amicizie in cui ci si vede e sente poco, ma quel poco elimina qualsiasi distanza.
Ho capito che il bene – che sia amore o affetto o qualsiasi altra pulsione positiva – non ha un linguaggio che si esprime unilateralmente, ma è fatto di tutto un insieme di sfumature e flessioni e particolarità che si declinano diversamente per me, per te, e per chiunque entri nella sfera di un altro essere umano.
Ama per te, perché senti di doverlo fare e come senti di doverlo fare.
E concedi agli altri la stessa libertà.

Anche se si trattasse di dire “ti amo” un milione di volte al giorno, e sentirselo dire una volta sola in tutta la vita.
E viceversa.

 

 

 

 

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