Regola#38nonsentirtimaifigliadiundiominore

On Air
…Non pensare mai di non essere all’altezza delle situazioni. Fissa la camera, e quando vedi la luce rossa accendersi, dev’essere questo il tuo solo pensiero: se sono qui, posso farlo. E se hanno scelto me, è perché so farlo meglio di altri. Tu non sei figlia di un dio minore: tu sei tu. Punto…

NON SENTIRTI MAI FIGLIA DI UN DIO MINORE

Il 17 ottobre del 2008 era un venerdì; e mi ricordo quel giorno come fosse oggi, perché la mia vita fece una delle sue curve pazzesche, brusche, di quelle che pigli con la marcia troppo alta rischiando di invadere la corsia opposta e derapare. Una di quelle svolte che non riusciresti mai ad ipotizzare fino a qualche secondo prima, nemmeno se fossi nella testa di Ken Follet o di Elisabetta Cametti (autrice dei thriller I Guardiani della Storia e Nel Mare del Tempo).

Era cominciato tutto con una telefonata del mio capo di allora, che mi aveva convocata nel suo ufficio. Davanti a sé, sulla scrivania, aveva la stampa di una mail che parlava di una trasmissione televisiva su di un’emittente locale che sarebbe andata in onda tutte le sere, dal lunedì al venerdì, in diretta. Trenta minuti di trasmissione dedicata a temi di cultura generale, dalla politica all’attualità, con la possibilità per il pubblico di intervenire da casa via telefono.

Ero seduta di fronte a lui, che fissava la mail leggendo parola per parola la descrizione della trasmissione, creando la stessa tensione e suspense che si respira a teatro mentre l’orchestra si accorda prima dell’ouverture; ad un certo punto aveva alzato lo sguardo, mi aveva fissata negli occhi e aveva pronunciato quelle tre, magiche parole: vuole-farlo-lei?

Certo, risposi. Quando si comincia? Lunedì, ovvio. Quindi avevo due giorni per passare dalla modalità organizzatrice di eventi a quella di conduttrice televisiva. Due giorni che invece trascorsi quasi interamente a chiedermi: sarò all’altezza di un incarico come questo?

Gli studi si trovavano a 25 km da casa mia, quindi relativamente vicini per una come me che abita in campagna, tuttavia non avevo idea di dove fossero precisamente, ecco perché mi affidai a nostro-signore-google-maps-chiedi-a-me-che-ti-porto-dovunque secondo il quale ci avrei impiegato mezz’ora. La trasmissione iniziava alle 20; decido di partire alle 18 perché volevo essere sicura di arrivare in tempo per prendere confidenza con lo studio, conoscere il regista, i tecnici, ambientarmi con quella nuova situazione così importante ed emozionante per me. Volevo evitare a tutti i costi di sembrare Laura Ingalls della Casa della Prateria al suo primo giorno di scuola da insegnante, con tanto di chignon al posto delle trecce da bimbaminkia e l’espressione in faccia da principiante assoluta.

Parto, con la piantina fra le mani, e un unico pensiero in testa: sarò all’altezza di una cosa importante come questa?

Seguo scrupolosamente le indicazioni, e dopo 20 minuti mi trovo davanti ad una strada bloccata con tanto di cartello giallo dove troneggia la scritta “deviazione”. Non avevo calcolato i classici lavori-in-corso, che in questi casi trovi sempre sul tuo cammino come nemmeno la migliore delle Leggi di Murphy potrebbe prevedere.

Inizio a seguire le indicazioni, prima con calma e sangue freddo, poi con un po’ di agitazione, e alla fine in panico totale. Credo di aver girato intorno alla stessa rotatoria per dodici volte; credo di aver chiesto informazioni a 50 persone diverse – fra cui il postino in pensione, una babysitter filippina, un signore che stava aspettando chissà quale autobus, che probabilmente a tutt’oggi non è ancora arrivato, e il sindaco del paese confinante. Alle 19.30 arrivo finalmente a destinazione, o meglio: arrivo VICINO alle destinazione, perché gli studi si trovavano all’interno di una zona industriale, di quelle che da sole sono grandi come tre quarti del comune in cui sono, composte di capannoni tutti uguali. Mi incollo al telefono con l’assistente del capo che, per inciso, mi stava aspettando da 40 minuti, e seguendo le sue indicazioni riesco ad arrivare alla meta. Erano le 19.50. Dovevo andare in onda IN DIRETTA dieci minuti dopo. Fanculo l’ambientamento e la conoscenza con tecnici e regista. Il vero problema è: sarò all’altezza?

Arrivo tutta sparata con la mia Ford KA verde, entro nel parcheggio con la stessa velocità del sergente Alberto Bosco, alias P.E. Baracus dell’A-Team alla guida del suo GMC Ventura nero, e freno di colpo. Un attimino troppo tardi però, e cioè dopo aver sbattuto col muso contro il muretto della recinzione. Raccatto dal sedile del passeggero la borsa, le scarpe col tacco, la cartellina con gli appunti, scendo di corsa pregando che nessuno abbia assistito alla scena, e mi trovo davanti il mio capo, furente per il ritardo ma in preda ad un attacco di risa per il mio rapporto senza precauzioni con il muretto. Figura di cacca numero uno.

Lo saluto mostrando una padronanza finta come una moneta da tre euro, ed entro in studio. Cambio le scarpe indossando quelle col tacco 14, imposto la voce squillante e lo sguardo sicuro di Cristina Parodi quando conduceva il TG5, e mi dirigo verso il regista che mi stava aspettando alla fine di un corridoio.

Mentre gli cammino incontro, invece di godermi questo momento cruciale per la mia carriera, continuo a ripetermi: ce la farò? Sarò all’altezza? Posso fare una cosa così importante, proprio io?

Inizio a sorridergli 5 passi prima di arrivargli vicino, punto i miei occhi nei suoi per sembrare sicura ed accattivante, allungo la mano per porgergliela, e cado lunga distesa ai suoi piedi. No, non in senso figurato, ma in senso reale, concreto. Ero così presa dal sembrare sicura di me e mascherare la paura di non essere all’altezza della situazione, che non mi ero accorta di uno scalino ed ero inciampata piombando a terra con le braccia tese davanti a me. Figura di cacca numero due.

Ore 19.58: mi siedo sulla poltrona in plastica bianca, tentando di concentrarmi e respingere la voglia di scappare a nascondermi direttamente dentro l’utero di mia mamma, tentando di non sentirmi completamente inadeguata alla situazione e una deficiente totale per aver accettato un incarico del genere, ma soprattutto tentando di non pensare al dolore pungente che mi arrivava al cervello direttamente dalla caviglia, da dov’era evidente mi fosse uscita una corda in seguito alla caduta.

3, 2, 1, luce rossa in camera, sono in onda. ON AIR.

Signore e signori, buonasera e benvenuti alla prima puntata di Provincia e Dintorni, ospite di questa sera l’Assessore alla Cultura Massimo Giorgetti…e bla-bla-bla.

Mi ero trasformata. Quel senso di inadeguatezza costante era sparito, lasciando spazio alla verve, alla leggerezza nei modi e nel linguaggio; ero completamente in me, sicura e determinata.

Avevo smesso di sentirmi figlia di un dio minore, e quindi sempre inadeguata e non all’altezza della situazione.

Da allora, ogni volta che mi trovo davanti ad una cosa che sembra più grande di me, ripenso a quella sera, e soprattutto al dolore che provavo alla caviglia. Quel dolore fisico rappresentava la mia insicurezza interiore: avevo sempre pensato che le cose belle mi capitassero non per merito, ma per pietismo, e che le chance più importanti della mia vita mi fossero arrivate per caso, o perché la gente voleva farmi un favore.

Invece no.

Non pensare mai di non meritare le occasioni migliori che ti capitano: se ti trovi a poterle afferrare, significa che te lo sei guadagnato, e che sei all’altezza del momento che hai davanti.

Cammina sempre testa alta, spalle aperte e schiena dritta. E se anche cadi perché inciampi in uno scalino – bastardissimo – che non avevi visto perché troppo impegnata a nascondere la tua agitazione, rialzati, sorridi, aggiusta la ciocca di capelli che ti è caduta sugli occhi, e vai a sederti su quella tua sedia in plastica bianca.

Fissa la camera, e quando vedi la luce rossa accendersi, dev’essere questo il tuo solo pensiero: se sono qui, posso farlo. E se hanno scelto me, è perché so farlo meglio di altri. Tu non sei figlia di un dio minore: tu sei tu. Punto.

E adesso chiudi questa pagina, guardati intorno, e ricorda: la luce rossa della camera che ti inquadra, è sempre accesa per te.

PS: l’ho imparata, poi, la strada per andare agli studio. Completamente diversa e molto, molto, più semplice di quella indicatami da Google Maps. Fuck, Google!

4 thoughts on “Regola#38nonsentirtimaifigliadiundiominore

  1. Cara mitica Eustachia…finalmente ti leggo…grande donna, grande professionista, grande BON TON!!!!! Ho divorato le tue regole e mi ci sono ritrovata tutta!!!! Dal bastardissimo scalino …all’agitazione del “sarò all’altezza”…al Google Map Fuck!!!
    Io…ti adoro ! Gio’

  2. Ciao Eustachia, leggendo questa regola e soprattutto rileggendola , dove anche le sfumature che, di prima lettura ti sfuggono ti fanno pensare che tutto sommato vale sempre la pena mettersi in gioco…e soprattutto rischiare il risultato , ma quello alla fine bello o cattivo non ti toglie quell’orgoglio di dirti ci ho provato e la prossima volta andrà meglio perché ho avuto il coraggio di provarci. Grande Eustachia

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