Regola#325mettiinpausalatuavita

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METTI IN PAUSA LA TUA VITA

I rami della quercia toccano quasi terra.
Quercia. In fondo lei mica lo sa se questa sia una quercia; tuttavia il tronco è robusto, inclinato, e allora le piace pensare sia una quercia perché la parola stessa suona bene. Fa pensare alla forza. All’eternità.

E l’eternità oggi le sembra rassicurante, perché rimette tutto al suo posto.
I suoi problemi, la sua tristezza e le sue lacrime, la tachicardia che sente toglierle il fiato tutte le sere prima di addormentarsi. Visti in prospettiva d’eternità non contano nulla, e quando qualcosa perde il suo potere, non fa più paura.

La quercia sembra stia qui da una vita, che poi è una frase assurda da dire, se non si specifica di chi sia la vita. Quest’albero sembra sia qui da sempre. Ecco, molto meglio.

Il vento rimbalza su tutto quello che incontra. Le colline, la chiesa in pietra antica e legno. L’albero stesso. E’ un vento tenace e costante, che ascoltato ad occhi chiusi le fa pensare al mare. Evidentemente il vento è un cantante melodico che conosce una canzone sola, e canta sempre quella. Dovunque.

Oggi lì intorno è pieno di grilli. Musicisti instancabili pure loro.

Sta scrivendo stesa sotto la quercia, con le formiche che si arrampicano dove possono. Sul portatile, sulle gambe, sulle braccia. Sono formiche grandi, di quelle che fino a qualche ora prima si sarebbe alzata per spostarsi. O che avrebbe perso tempo a schiacciare, una per una.
Ma ora, in questo contesto, quella stonata è lei, mica loro.
E allora lascia che le camminino dovunque, perché sente che sta vivendo uno stato di grazia: si sente allineata con tutto. Con quello che la circonda e con quello che ha dentro.

E il motivo è semplice: finalmente ha staccato la spina, si è disconnessa col mondo, e prima ancora con i suoi pensieri.

Ha reciso il cavo che la legava alla paura, alla fretta, all’insicurezza, agli altri.
Ha smesso di tenere tutto sotto controllo, di sentirsi al centro di ogni sguardo, di provare un senso di colpa per qualsiasi risposta e reazione.

Ha smesso di impostare la sua vita con l’attenzione e la frenesia e la concentrazione di una dattilografa che come unico compito onere e scopo ha quello di riuscire a decifrare e trascrivere tutti i pensieri dell’umanità, come se la salvezza di ogni singolo essere umano dipendesse da lei, arrivando a sfibrare tutto: capillari, vene, nervi.
Arrivando a sfibrarsi, lei per prima.

Arrivando a confondere tutto, agitando ogni cosa, schiacciando la sua vita in un tritacarne tenuto chiuso con tutto il peso del corpo mentre con la mano destra si buttava sul tasto on con rabbia e disperazione.

Poi la vita la condotta lì, sotto quella quercia, dove di tasto da premere ce n’era soltanto uno.
Off.

E mentre il vento fa la voce grossa portando su quella collina echi di conchiglie e voci di bambini col secchiello in mano e i le caviglie nell’acqua, lei decide che la sua vita non debba essere mai più una corsa, ma una danza.
Decide che vuole vivere, non memorizzare.
Vuole vivere, non convincere o conquistare o tenersi stretto.
Vuole semplicemente vivere, come se ogni giorno fosse un raggio di sole che penetra tra le foglie.

Perché a volte è proprio premendo il tasto off, che si accendono solo le luci veramente importanti.
Credo debba averlo appena capito anche lei, perché la vedo sorridere, mettere il punto per chiudere la frase, abbassare lo schermo del portatile e compiere il gesto che la fa sentire a casa, oggi più che mai.

Tendere il braccio verso di lui, e afferrargli la mano.

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