Regola#175perchésanremoèsanremo

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Perché non puoi fuggire alla tua canzone, quando ti trova. Non puoi sottrarti al suo potere: arriva nella tua vita che manco te l’aspetti, dice le cose che vorresti riuscire a dire tu.

PERCHE’ SANREMO E’ SANREMO

23 febbraio 1993.
L’orchestra che intona le prime note; pianoforte e basso, credo.
Forse anche i violini.

Entra una ragazza giovanissima, giacca bianca e ciuffo francamente improponibile.
Mentre penso questo, con tanta tenerezza, lei pronuncia le prime parole della sua canzone.

 “Marco se n’è andato e non ritorna più
e il treno delle 7.30 senza lui..:”

Mi si blocca il respiro.
Marco se n’è andato.
E io il mio amico Marco l’avevo perso davvero, ad aprile dell’anno prima.
Corro in camera, accendo la radio inginocchiata ai piedi del letto. Comincio a piangere, e in quelle lacrime a buttare fuori tante, troppe cose che da 9 mesi tenevo nascoste dietro ad una ostentata indifferenza.
O alla paura.
Paura di rendermi conto che era successo.
Che lui era morto davvero.

Tengo le cuffie attaccate alle orecchie per cogliere tutte le parole, tutti i versi di quella canzone.
Che porca puttana, sembra proprio siano stati scritti per me. Da me.
Stringo quelle cuffie nere con tutta la forza che ho, perché in realtà in quel gesto mi sembra di stringere le sue mani.

Papà intanto è in cucina, che ascolta la stessa canzone, sotto shock come me.
E come me, piange.
Il suo è un pianto più adulto però, silenzioso, profondo, per nulla trattenuto.
Il pianto di un padre, perché il bene che gli voleva era esattamente come quello.

“Marco nel mio diario ho una fotografia
hai gli occhi di bambino un poco timido…”

Prendo il diario dalla cartella.
La foto è lì.
Quella foto che starà in tutti i miei diari, e in tutti i miei giorni.

L’esibizione finisce.
La lama infuocata lascia la presa; il marchio – quello dell’assenza – è stato fatto. Proprio al centro del mio cuore, e lì resterà sempre.
Torno in cucina. Papà mi guarda, e dice: vince lei, vedrai che vince lei.
E quel Festival di Sanremo diventa il nostro Festival.

E quella, la mia canzone.
Perché non puoi fuggire alla tua canzone, quando ti trova. Non puoi sottrarti al suo potere: arriva nella tua vita che manco te l’aspetti, dice le cose che vorresti riuscire a dire tu.
Ti libera, ti pulisce dentro, ti permette di sentire che quello che stai vivendo è vero, che esiste esattamente come esiste la traccia che esce dal tuo ipod.

E cattura per sempre quello che senti, come una custode fedele e immortale di quello che hai vissuto.

Oggi, ventitre anni dopo, ogni tanto mi imbatto ancora in quella canzone e torna tutto a galla. Tornano i ricordi, torna il dolore, tornano le lacrime.
Ma torna anche tutto il cammino che ho fatto lo stesso; tutto l’amore che sono riuscita a dare e ad avere nonostante; tutte le volte che ho riso anche dopo quel maledetto giorno lì.
E sai che faccio, subito dopo averla ascoltata, la mia canzone? Ne cerco subito un’altra, una di quelle che mi scatenano gioia ed energia, una di quelle che ti vien voglia di sorridere e ballare ed essere felice.
Perché so che Marco mi vorrebbe così.

 

 

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