Regola#67 lesituazioniimbarazzantisisuperanosempre.coltempo.moltomoltomoltotempo

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…Anzi, mi sembra di vedere la mia faccia su ogni manichino esposto…

LE SITUAZIONI IMBARAZZANTI SI SUPERANO SEMPRE. COL TEMPO. MOLTO, MOLTO, MOLTO TEMPO

Bruttina ma simpatica; grassoccia ma coccolosa; timida ma ironica; insicura ma beffarda. Nella mia prima adolescenza ero esattamente così; e giusto per farmi maturare in maniera naturale, secondo i miei ritmi e senza traumi, ho frequentato il liceo più vip della mia città, dove a sedere dietro ai banchi con me erano delle promettenti Miss stilose e alla moda, abituate a ricevere come mancetta dai genitori quello che io non riesco a guadagnare nemmeno oggi in un mese.

In pratica, ho trascorso 5 anni – 6, a dir la verità, ma questa è un’altra storia – a sentirmi perfettamente a mio agio fra le mura scolastiche come potrebbe stare la canzone popolare veneta “Me compare Giacometo” nella stessa playlist con Sergio Cammariere. Una piccola Calimero circondata da un gregge di Winx.

Ma la parte peggiore della mia quotidianità da liceale era un’altra, e cioè il tragitto che tutti i giorni dovevo fare dalla fermata della corriera al portone di Via Cordenons, 1; Il Corso storico della città, che di mattina diventava una vera e propria passerella, lo scenario per il via vai di studenti che si incrociavano anche solo per qualche minuto, tanto bastava per assegnare virtualmente le fasce settimanali: miss sorriso, miss brufolo, miss gambe lunghe, miss culo basso eccetera. Dieci minuti di incubo, per me, che sentivo di vincere tutti i giorni il titolo di Miss Anonimous.

Fino a quel mercoledì. Quando divento improvvisamente la studentessa più conosciuta della città, e di tutta la provincia credo. Mio malgrado.
Immagina la scena. Io che scendo dalla corriera, nel mio perfetto look da loser-che-tenta-di-inserirsi-in-un-ambiente-aVistocVatico: anfibio nero, calza nera, gonnellina al ginocchio tutta a pieghe, maglione a coste arancione. Un bijou, proprio.

Scendo con il mio pesantissimo zaino dell’Invicta in mano, e poi compio quei gesti che ogni studente si imprime nel dna dal primo giorno delle scuole elementari: infilo un braccio, poi l’altro, e poi tenendo le spalliere con entrambe le mani mi alzo sulle punte dei piedi e dò quel colpetto di rinculo atto a sistemare lo zaino sulla schiena.

E mi incammino, con la testa bassa e le spalle incurvate, per niente pronta ad affrontare la mia quotidiana dose di anonimato e sensazione di essere una loser goffa e trasparente. Invece no, come direbbe la Pausini.

Quel giorno, sin dal primo metro del Corso, ho notato qualcosa di diverso. Mi si guardava. Mi guardavano i maschi, mi guardavano le femmine. Mi guardavano i baristi dalle vetrine dei bar. Inizialmente pensavo di sbagliarmi, ma gli sguardi erano sempre più evidenti e prolungati. Io camminavo, e le persone si accorgevano di me. Mi fissavano venendomi incontro, mi squadravano passandomi a fianco, mi scrutavano – molto, molto attentamente – anche dopo essermi passati vicino.

Nella mia testa si fa strada un pensiero: vuoi vedere che sono diventata una gran figa in una notte sola?

Inizio ad alzare lo sguardo, raddrizzare la schiena, e camminare con un po’ più di sicurezza e autodeterminazione. Inizio a sorridere. Inizio a sentirmi parte di un ambiente che per la prima volta sembra includermi.

Uno degli studenti più belli in circolazione all’epoca mi squadra dalla testa ai piedi, poi mi fissa negli occhi. Io arrossisco, e ricambio con un sorriso timido e inclinando la testa dalla parte opposta alla sua, emulando perfettamente quel gesto che avevo visto fare migliaia di volte dalle gnoccolone vere e che avevo sempre sognato un giorno di poter interpretare anche io.

E proprio mentre inclino la testa verso sinistra, mi scopro di fronte ad una vetrina, e vedo perfettamente la mia immagine riflessa. Anzi, mi sembra di vedere la mia faccia su ogni manichino esposto. E il pensiero che faccio è questo: VOGLIO MORIRE. VO-GLIO-MO-RI-RE.

Perché, amica mia, proprio mentre infilavo lo zaino appena scesa dalla corriera e davo quel colpetto di rinculo, la gonna tutta a pieghette mi restava incastrata sotto il peso dei libri, lasciandomi completamente scoperto il didietro.

A 17 anni, quel mercoledì, avevo percorso tutto il Corso Storico della mia città, fra la quasi totalità degli studenti del centro, con il culo di fuori. Avvolto nelle calze, certo, ma completamente di fuori.

Ripensandoci oggi, ringrazio il cielo che una cosa come questa mi sia accaduta 20 anni fa, quando ancora non c’erano telefonini e social network ad immortalare la figura di merda più fotonica della mia vita. E ringrazio il cielo per aver superato quasi subito il trauma, all’epoca, e invece di cambiare scuola-città-identità, ci ho fatto una grossa risata sopra.

Ed una regola, 20 anni dopo, che è la seguente: qualsiasi sia l’entità della figura di merda più imbarazzante che tu possa mai fare, passa. Potrebbero volerci decenni, ma poi passa. E ti lascia anche una bella storia da raccontare.

 

 

 

 

 

 

 

 

5 thoughts on “Regola#67 lesituazioniimbarazzantisisuperanosempre.coltempo.moltomoltomoltotempo

  1. Buongiorno EBT stamane apro il computer e tra le tante cazzate dell’alba leggo il tuo blog…permettimi di ringraziarti, mi hai strappato un sorriso e di questi tempi non è poco. Comunque leggendo la storia forse la ragazzina che descrivi di strada ne ha fatto..in televisione ti ci si vede a discapito delle gnoccolone che dicevi tu , quindi qualcosa hai costruito magari anche a quella figura che hai descritto. Uso delle parole non mie…LA VITA E BELLA, e aggiungo io grazie anche a queste cose, basta riderci su e andare avanti.Il problema sai qual è? quando uno non si mette a ridere come hai fatto te ma ne soffre dentro, a volte anche arrivando a gesti estremi ..perché questa società non ti perdona niente. Io sono un genitore e di questo ho paura. Scusami per il commento ma dal tuo racconto è nata una riflessione importante..tu sei forte ma purtroppo non tutti lo sono, e le malelingue uccidono più della spada. Ti saluto cordialmente e ti ringrazio per le tue regole…a volte fanno riflettere oltre il sorriso a prima lettura

    1. Caro Enrico,
      anche il tuo commento mi ha strappato un sorriso, e condivido la riflessione che fai tu. Quindi il grazie è reciproco.
      Di cuore, EBT

    2. Caro Enrico, insegna ai tuoi figli ad essere forti, e sapranno affrontare qualsiasi giudizio, difficoltà o figura di m… che gli si presenterà. Te lo dico da figlia ed ex adolescente complessata 😉

  2. alcune colleghe della tua stessa scuola hanno più o meno vissuto lo stesso trauma.una di sicuro.ma non era in Corso.no.era direttamente in Loggetta.LA Loggetta.quella.quel buco nero identitario dove, se non eri Tizia o Caia o Sempronia, ti veniva fatto intendere chiaramente che eri inadatta alla vita,in generale. quel luogo di aggregazione dei fighi e delle fighe della scuola.quella Loggetta.dove mostri il tuo lato b per un fortuito incastro del lembo della gonna nell’elastico dei collant.solo che…hai la sfiga cosmica di essere 15kg in sovrappeso.e di essere vagamente poco appetibile.e sei estremamente acuta con l’udito,da poter sentire lo scherno.globale.di tutta la Loggetta.insomma…traumi condivisi.
    Tanta empatia, Eustachia cara. Empatia a pacchi, proprio.

    1. Giulia cara,
      che tutta questa empatia diventi un abbraccio enorme, che ti mando, e che sono sicura vorrai ricambiare. Pensa che io in loggetta manco ci mettevo piede!!!!
      Grazie per il tuo commento. Essere due, già fa sentire squadra!
      Baci, EBT

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