Regola#49evacontroeva

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…Ieri è stata la Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne. Stringiamoci idealmente tutte in un abbraccio pieno dei nostri universi, così unici e profondi; abbracciamo anche quelle donne che hanno lasciato vuoto il loro posto nel mondo a causa di mani violente e assassine: dobbiamo vivere decidendo di essere felici anche per loro…

EVA CONTRO EVA

Ci sono due cose che ricordo più di tutto, di quel giovedì 8 marzo 2012. La prima è il suo odore, quell’acqua di colonia da vecchio abituato a prendere tutto prima ancora di pensarlo. Dolciastra, forte, di quelle che impregnano una stanza anche dopo che una persona se n’è andata.

La seconda è il rumore sordo, opprimente, che faceva il mio cuore battendo come un metronomo incastrato su di una velocità troppo alta. Un rumore tanto assordante nella mia testa, che mi pareva impossibile non si sentisse anche da fuori.

E’ successo l’8 marzo, e ho sempre pensato fosse una coincidenza stonata che proprio quel giorno io avessi festeggiato il mio essere donna pagando il tributo di un’aggressione. Come se essere noi, fosse quasi ingiusto.

Prima di allora, conoscevo la violenza sulle donne attraverso i servizi in tv, attraverso i numeri della statistica, attraverso le storie dei posti vuoti lasciati nel mondo da ogni donna ammazzata solo perché tale. Guardavo i loro volti giusto il tempo del servizio al tg, provavo ad immaginarmi nelle loro vite, e mi ripetevo che tanto a me non sarebbe mai capitato, perché non mi sarei mai messa con un uomo violento e anche se fosse avrei saputo allontanarmene prima, e il resto degli uomini che frequentavo erano colleghi innocui, o amici che mai mi avrebbero fatto del male.

Poi arriva quel giovedì, e il tuo capo, un vecchio ottantenne dalla camicia linda e l’anima infangata, ritiene assolutamente normale sbatterti contro il muro e metterti la lingua in bocca. E tu opponi resistenza, e torni in ufficio col terrore che ti aggroviglia la pancia e la sensazione di vivere dentro una palla di vetro che se la giri non scende la neve, ma tante piccole schegge.

Torni a casa, accendi le luci in ogni stanza, ti sdrai a letto e resti lì a non pensare a niente, sperando che il tempo si fermi così. L’immagine di quello che hai vissuto continua a tormentarti i nervi, e mentre provi a cercare una spiegazione per quello che è capitato, dentro di te accade una cosa assurda, perché invece di arrabbiarti contro quell’uomo schifoso, inizi a passare in rassegna i tuoi atteggiamenti, ed invece di volerti ancora più bene per quello che hai subìto, e cercare nelle persone che hai accanto l’affetto che meriti e di cui hai bisogno, sali direttamente sul banco degli imputati, ti processi, e ti condanni da sola. E diventi la tua nemica più feroce. Ti metti contro te stessa.

Eva contro Eva.

Inizi a pensare che la colpa sia tua, decidi di non parlarne con nessuno, e l’umiliazione diventa vergogna. E quella sbagliata diventi tu. Non puoi lasciare quel lavoro perché vivi da sola, hai l’affitto da pagare, e allora pensi si sia trattato solo di un brutto episodio, e tenti di metterti tutto alle spalle. Ma il vecchio non dimentica e, soprattutto, non ha nessuna intenzione di accettare una sconfitta. Ti compra una macchina, e tu rifiuti. Ti offre dei soldi, e dici di no. Ci prova ogni volta che ti incontra lungo i corridoi dell’azienda, e tu fingi che vada tutto bene.

Ma intanto non mangi più, sorridi sempre meno, ed inizi ad avere paura. E ancora, ti tieni tutto dentro, perché pensi che quella sbagliata sei tu.

In quello stesso periodo, incontri un ragazzo. Ti sembra pulito, buono. Senti che puoi fidarti. Iniziate a vedervi, e i momenti che passi con lui diventano come un bicchiere d’acqua nel mezzo di un deserto. Ma ben presto scopri che anche in quel bicchiere, assieme all’acqua che hai bisogno di bere, ci sono milioni di schegge di vetro. Perché fa di tutto per legarti a lui, e non appena si accorge che dipendi dalla sua presenza, e soprattutto che gli vuoi bene davvero, inizia a giocare con la tua vita come un adolescente negli anni ’70 davanti al flipper. E la pallina sei tu.

Inizia tutto con uno schiaffo, che tu lasci passare. E il giorno in cui ti guardi allo specchio e gli ematomi ti sembrano naturali nel tuo corpo come quegli stessi nei che ha creato in nove mesi tua madre, è troppo tardi.

Questo è stato il mio inferno per quasi due anni. E la cosa che mi fa più male, è la sofferenza che vedevo negli occhi delle persone che mi stavano accanto, e cui negavo qualsiasi possibilità di aiutarmi, perché io per prima negavo esistesse veramente il problema.

Poi una sera, raggiungo due amici in un locale. Magra, spenta, emaciata, con la spalla piena di morsi. Non faccio in tempo ad ordinare un caffè, che mi metto a piangere. Perché da mesi oramai piangevo ogni giorno, piangevo dovunque. Da sola in macchina, dal panettiere. In chiesa. A pranzo con i miei. Nessuna eccezione, nemmeno quella sera. Bevo di fretta ed esco. Prima di infilare la porta del locale però, mi giro verso quegli amici, e nel loro volto vedo l’espressione più orrenda che mi sia mai stata rivolta: biasimo. Avevano pena di me.

Ecco il mio breaking point. Ecco quello che mi ha salvato. Nel giro di qualche mese, sono riuscita a cambiare lavoro, e a troncare quella storia malata. Perché quella sera, quando sono tornata a casa, mi sono guardata allo specchio, e ho deciso che dovevo cominciare ad essere felice. Che nessuno dovrebbe essere guardato con quell’espressione di pena. Come se fossi già morta. E mai come in quel momento ho desiderato ricominciare a vivere.

Abbiamo solo questa di vita, ragazze. Abbiamo solo questa chance. E dipende tutto solo da noi: le cose e le persone che ci circondano vivono la nostra attrazione gravitazionale in positivo o in negativo, esattamente come fa la luna con le maree.

Il potere di essere felici, la capacità di superare ogni situazione è nel nostro DNA, così come saper cullare nostro figlio dal primo momento che ce lo mettono in braccio, e saper mantenere la mente lucida quando lo vediamo stare male. E’ nel nostro DNA riprenderci in mano la nostra vita ogni volta che una storia finisce, e riuscire nonostante la delusione ad amare di nuovo. E’ nel nostro DNA saper vivere 18 ore facendo le cose che gli altri essere umani – e cioè gli uomini – non riuscirebbero a fare in 18 giorni. E’ nel nostro DNA aver bisogno degli altri per confidare le nostre paure, i nostri dolori. In quei 24 mesi, il peccato peggiore che posso dire di aver commesso, è stato rinnegare me stessa, e negarmi la possibilità di chiedere aiuto.

Se posso ammettere di avere un rimpianto, è quello di essermi punita troppo, e vergognata a tal punto di me, che non facevo che ricadere continuamente nella stessa situazione. Sabbie mobili emotive che mi risucchiavano la capacità di interrompere quella situazione di violenza in cui ero caduta.

Perché oggi lo dico a testa alta, e senza paure: per due anni ho vissuto due diverse forme di violenza, arrivando al punto di sbattere la testa contro il muro, una notte in cui non riuscivo a dormire.

Chiunque tu sia, mentre leggi queste mie parole ricordati che per quanto sia buia, basta accendere una piccola luce in una stanza, per iniziare a vedere tutte le persone che abbiamo accanto. Io sono una donna fortunata, prima di tutto perché sono una donna, e poi perché ho vissuto l’inferno, e ne sono uscita in piedi e senza scottature. E puoi farlo anche tu.

Non aver paura di chiedere aiuto: dalla tua migliore amica – e io ringrazio il cielo tutti i giorni per la mia Micca – a persone che possono intervenire concretamente e da subito per aiutarti. Strutture di professionisti come il Gruppo Polis, che a Padova opera da anni a fianco delle donne che subiscono episodi di violenza, e che possono darti un riparo emotivo e un punto di riferimento per aiutarti nel primo passo: ritrovarti. Poi tutto verrà da sé.

Ieri è stata la Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne. Stringiamoci idealmente tutte in un abbraccio pieno dei nostri universi, così unici e profondi; abbracciamo anche quelle donne che hanno lasciato vuoto il loro posto nel mondo a causa di mani violente e assassine: dobbiamo vivere decidendo di essere felici anche per loro.

Dobbiamo vivere magnificando ogni giorno la nostra essenza; perché siamo esseri speciali anche solo per il fatto che, vedendo il colore rosso, siamo in grado di distinguere 34 sfumature diverse, con i rispettivi nomi. Dalla A di alizarina alla V di vermiglione. Insomma, un po’ come gli eschimesi inuit, che possono definire la neve in 41 modi differenti, ma non hanno nessuna parola per designare la guerra, perché nella loro società non è contemplata.

Riprendiamoci il nostro dizionario, lottiamo per eliminare la parola violenza, perché ognuna di noi merita di vivere come se, una volta capovolto il cielo della nostra palla di vetro, scendessero soltanto dei soffici e leggeri fiocchi di neve.

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