Regola#169troppaindipendenzastorpia

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Ci siamo, penso. Fra un po’ saremo soltanto io e il mare, per un fine settimana rilassante da donna indipendente e matura. E già mi vedo a fare la stella marina sulla superficie dell’acqua.

REGOLA#169 TROPPA INDIPENDENZA, STORPIA

Sono esattamente tre le cose che ho pensato, nel momento preciso in cui la porta cui avevo appena bussato si è aperta, e invece di una deliziosa coppia di vecchietti mi sono trovata di fronte a quattro omaccioni a petto nudo e di provenienza chiaramente sub-sahariana.

La prima: questi non mi par siano proprio cosi vecchietti.

La seconda: esistono davvero in natura degli addominali così?

La terza: e adesso, che faccio?


“Buonasera signorina, come possiamo aiutarla?”

“Ehm…Uhm…mi potete aprire il gas?”

 

Ecco, appunto.
E’ stata l’unica cosa che sono riuscita a dire, mentre nella mia testa maledicevo la mia assurda voglia di indipendenza.

E adesso ti spiego perché.

 

Maggio 2004. Si è appena conclusa la mia prima esperienza come insegnante.

Sentimentalmente mi sto vedendo con un ex collega che fa un po’ il buono e cattivo tempo.
Della serie: oggi ti voglio, domani non lo so, dopodomani-è-un-tempo-troppo-lontano-per-cui-io-possa-capire-cosa-voglio-da-me-stesso.

Ho quasi 28 anni, e ho voglia di affermare in pieno la mia indipendenza. Sicché chiedo alla mia Chicca se posso passare un fine settimana nella sua casa a Rosolina Mare.

Poi chiedo a mio papà che strada devo fare.

Prende una delle sue cartine, e mi mostra il percorso.

Ok, capito.

“Portati via la cartina, no?”.

“Naaa, sono una donna indipendente e matura, papà, tranquillo. Ho capito. Tutt’al più chiedo al casellante quando esco a Rovigo”.

“Secondo me ti perdi”.

Mio padre e la sua infinita fiducia nelle mie capacità di orientamento.

 

Parto verso le 4 del pomeriggio; come merendina per il viaggio, una banana e una tavoletta di cioccolata Milka Lufflè.

Entrata autostrada, casello Vicenza Nord.

Uscita autostrada, casello Rovigo.

Ci siamo, penso. Fra un po’ saremo soltanto io e il mare, per un fine settimana rilassante da donna indipendente e matura. E già mi vedo a fare la stella marina sulla superficie dell’acqua.

Arrivo al casello, pronta a chiedere informazioni al casellante perché, ovviamente, ho dimenticato qualsiasi cosa mi abbia detto papà.

Ed ecco il primo trauma. Il casellante non c’è, ma non nel senso che il casello era abbandonato a se stesso. Semplicemente, era già in funzione il self service.

Pago sconvolta per la mancanza di contatto umano che questa novità comporta, e tento di rimettermi in moto cercando di ricordare le indicazioni.

Zero assoluto.

Giro come una formica impazzita per tre ore, tentando di seguire le indicazioni e di non maledire troppo chi quelle indicazioni le ha posizionate, probabilmente in preda ad una fase acuta di labirintite.

 

Finalmente, arrivo davanti alla casa della mia amica.

Sono le 20.30.

La banana è diventata tutta nera, il cioccolato più che mangiarlo, l’ho bevuto.

 

Ma la mia indipendenza ha avuto la meglio. Yuppi.

Seguendo le indicazioni di Chicca, entro in casa e trovo l’interruttore per la corrente.

Poi vado verso i fornelli per cercare quello del gas. Ho proprio voglia di un tè caldo.

Provo a trafficare sulla bombola, ma senza successo.

Il cellullare si è scaricato.

Proprio fuori casa c’è una cabina telefonica; provo a chiamare Chicca da lì, ma la cabina è fuori uso.

I bar, tutti chiusi.

In giro, non un’anima.

La mia indipendenza si sta trasformando in inquietudine.

Pensare che volevo solo stare un po’ da sola di fronte al mare.

 

Torno in casa.

Devo trovare la soluzione, non posso stare tre giorni senza gas.

Sento dei rumori dall’appartamento di sopra. Chicca mi aveva detto che a maggio non c’è quasi nessuno in tutta la località, eccetto una coppia di anziani che vive proprio sopra al suo appartamento.

Decido di chiedere a loro.

Eccomi quindi di fronte alla porta. Peccato che i vecchietti qualche mese prima avessero deciso di cambiare casa, e affittare il loro appartamento ad un’impresa di muratori impiegati in ristrutturazioni proprio lì.

Ed ecco spiegata la presenza dei quattro fisicati di cui sopra.

 

Che sono stati gentilissimi, per carità, e sono scesi tutti e quattro ad attivarmi il gas e controllare fosse tutto ok e chiedermi se avevo voglia di unirmi a loro per la serata.

E sempre tutti e quattro sono scesi la mattina dopo per controllare che fosse – di nuovo – tutto ok.

Peccato che non avessi chiuso occhio per tutta la notte, perché più che donna indipendente, ero ancora una ragazza di campagna sprovveduta e prevenuta.

 

Troppa indipendenza, a volte storpia, amica mia.

Soprattutto quando ci affanniamo a dirlo, quanto siamo indipendenti, ma sotto sotto vorremmo unicamente qualcuno che ci scaldasse le mani anche solo un po’.

Che sei indipendente lo dimostri tutti i giorni con il tuo sorriso e la tua forza e il percorso che ti sei costruita e ti ha portata fino a qui; ma non serve sbatterlo in faccia a tutte le persone che conosci, soprattutto a tutti gli uomini che conosci.

Ti piace qualcuno? Lascia che sia lui a fare il primo passo.

Ti invita a cena? Lascia che sia lui a decidere dove andare.

Vi incontrate a metà strada? Lascia che sia lui poi a guidare.

Fa’ un passettino indietro, perché se la storia andrà avanti, lo capirà da solo che sei una donna indipendente e forte, e proprio se la storia andrà avanti, saprà riconoscere da solo anche i momenti nei quali avrai più bisogno di lui.

 

Non mostrare da subito e a tutti i costi il tuo lato forte.

Potrebbe allontanare la spalla che cerchi prima ancora che possa realizzare di non poter più stare senza di te.

E ricorda la cosa fondamentale: se devi affrontare un viaggio – anche se breve, in apparenza – senza piantina o navigatore, non portare con te soltanto una banana e una tavoletta di Milka Lufflé. Soprattutto se fuori inizia a fare caldino.

 

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