Regola#145ilprimogiornodilavoro.nuovo.dinuovo

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Perché il primo giorno di lavoro è sempre un’esperienza in bilico tra entusiasmo e paure, tra voglia di fare e incapacità di riuscire a gestire tutto.

IL PRIMO GIORNO DI LAVORO. NUOVO. DI NUOVO

Il 30 giugno 2003 ho officiato un matrimonio.
Ho officiato il matrimonio di un tubo.
Di 200 metri di tubo in rame ricotto.
E’ stato uno dei giorni in cui mi sono sentita peggio in tutta la mia vita, ma che mi è anche servito di più.

La storia è semplice, ed è questa.

Mi ero laureata l’anno prima, a novembre, e avevo subito iniziato ad insegnare in una scuola superiore privata. Il contratto scadeva a fine giugno, e sarebbe ripartito a settembre. Di passare tre mesi a ciondolare però, proprio non potevo permettermelo. Mi serviva un lavoro estivo.

Detto, fatto. L’ultimo giorno di scuola è stato venerdì 27, dopo tre giorni smettevo i panni di professoressa per indossare quelli di segretaria: ero stata assunta in una ditta del mio paese specializzata nella vendita di materiale edile.

Io con quel mondo c’entravo talmente tanto che la parola edile manco sapevo leggerla con l’accento giusto.
Ma ero dotata di una gran dose di buona volontà, e poi l’ambiente era pieno di gente piacevole, prima su tutte la mia amica Stefania. Non avevo nulla da temere.

Il primo giorno arrivo, in sella della mia bicicletta, con una bottiglietta d’acqua e tanta voglia di imparare cose nuove e mettermi alla prova. Mi siedo alla scrivania, mi guardo attorno.
Ok, posso farcela.
Che sarà mai?

Passo la mattina a ricevere istruzioni e consigli dalla mia vicina di postazione.
Passo la mattina a non capire assolutamente nulla di quello che mi viene detto. Il gestionale mi sembra una versione cattiva, monocolore e senza pallini del Pac-Man.
Il linguaggio che usano mi catapulta nella sala della Nasa mentre i cervelloni tentano di riportare a casa il modulo di comando Odyssey dell’Apollo13. Okay, Houston, we’ve had a problem here.

Tutti mi sorridono ed effondono pazienza, ma dentro di me mi sento scoppiare.
Non sto capendo niente. Mi sento completamente estranea, isolata e stupida. Mi sento stupida.
Forse sono solo troppo vecchia per continuare a cambiare lavoro.
Forse non ci arrivo, sono mentalmente limitata e non riuscirò mai a compilare un ddt. Dio, il ddt mi ricorda un insetticida, che ne so io che sia un documento???

Torno a casa per pranzo. Un boccata d’aria, una chiacchierata con mamma e tutto sembra tornare a splendere. Ritorno nel pomeriggio carica di ginseng e buonumore.

Sono le 15. Arriva la titolare del negozio, una signora pazzesca per carattere, determinazione e generosità.
Una donna con le palle nel lavoro e con il cuore in tutto il resto.
Mi chiama alla scrivania, e mi dice di ordinare duecento metri di tubo in rame ricotto. Poi aggiunge un altro dettaglio, che io sento ma non capisco se ho capito davvero.
Non voglio fare la figura della stupida, quindi torno
alla scrivania e scrivo il fax. Glielo porto per la firma.

Lei lo legge a voce alta. Tutti si fermano per ascoltarla.

“Si richiede con il presente un ordinativo di 200 metri di tubo in rame ricotto congiunto”.
Mi guarda e dice: “Perché? Si è sposato?”.

Lei mi aveva chiesto di ordinare 200 metri di tubo in rame ricotto CON-GIUNTO. Perché il giunto, nel mondo edile qualunque sia la sua corretta pronuncia, non è il participio del verbo giungere. E’ un aggeggio che tiene insieme i tubi, appunto.
Io avevo capito congiunto, tutto attaccato.

Mi sento le guance prendere fuoco, torno alla scrivania, trattengo le lacrime a stento.
Rifaccio il fax, firma, invio.
Via così.

La giornata finisce e io torno a casa scongiurando il tempo di tornare indietro, o saltare in avanti, e darmi di nuovo il mio registro, la mia scrivania ed i miei alunni.
E soprattutto, la mia aula dove mi sento perfettamente in sintonia con il mondo e con me stessa.

Ma non posso tirarmi indietro.
E allora, arriva martedì, e finisce.
Arriva mercoledì, e finisce.
Arriva giovedì, e finisce.
Venerdì la titolare mi chiede di assistere nel suo lavoro un fotografo, ingaggiato da poco per riprendere tutti gli articoli del magazzino in vista del nuovo catalogo.
Passano le settimane, passano i due mesi, nei quali ho maneggiato ogni minimo oggetto venduto da quell’azienda, dalla guaina per tubi ai trabattelli metallici modulari.

Ultimo mio giorno di lavoro.
Arrivo sempre con la mia bicicletta, una bottiglietta d’acqua e un carnet di pasticcini. Entro, saluto tutti, mi siedo alla scrivania. Concludo le ultime cose rimaste in sospeso. Poco prima di mezzogiorno mi guardo intorno, proprio come avevo fatto due mesi prima: adesso riconosco tutto, e mi riconosco in tutto. Nei volti dei colleghi, nel linguaggio che usano, persino nel gestionale che adesso mi sembra un insieme di regole ordinate e chiare.

Butto lo sguardo fuori, verso il magazzino all’aperto.
Osservo i piedini in cemento, le reti metalliche di tre misure diverse, gli scarica detriti gialli.

I giunti. Adesso li conosco uno per uno. Perché ho avuto pazienza, non mi sono persa d’animo, e ho concesso alla mia personalità perfezionista ed esuberante la possibilità di imparare.

Perché il primo giorno di lavoro è sempre un’esperienza in bilico tra entusiasmo e paure, tra voglia di fare e incapacità di riuscire a gestire tutto. Ma se sappiamo mantenere l’obiettività senza lasciarci scoraggiare, giorno dopo giorno, le cose iniziano ad essere un po’ più chiare, ed un po’ più nostre.

Dopotutto, la vita funziona esattamente nello stesso modo. Cammini in equilibrio tra la voglia di vivere tutto e sorridere sempre e credere sempre nella bontà delle cose e delle persone, e l’amarezza di scoprire che spesso la bontà non esiste o che sorridere ti viene difficile o che la voglia di vivere ti scivola un po’ tra le mani.

Intanto però vai avanti. Vivi. Anche se ti trovi in un mondo che non hai chiesto e in lacrime che non hai pianto e in guai che non hai cercato. Vivi sempre, vivi tutto.
Vivi ogni giorno con lo stesso impeto, e se ti senti smarrita, non pensare di essere sola.
Hai te stessa per trovare la strada, e hai gli altri per trovare te stessa.

E se ti chiedono di mandare un fax ordinando una cosa che ti pare non abbia senso, chiedi un aiuto alla tua compagnia di scrivania.
Dopotutto, echeccazzo! Non riesci a sposarti te e organizzi il matrimonio di un tubo?

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